
Oggettivamente sì, se si trattasse di casa vostra. Ma qui stiamo parlando della Escala del Cabirol, cioè in catalano della Scala del Capriolo, che si inerpica lungo il fianco di Capo Caccia, alto, verso sud, ben 168 metri. Non lasciatevi intimorire: i caprioli sono quei quadrupedi capaci di scalare pareti quasi verticali per leccare il sale che trasuda dalle rocce o per brucare sterpaglie, a voi è comunque richiesto molto di meno, e poi prendetevi il vostro tempo, un gradino alla volta, con calma, perché, tra l’altro, ci sono molte ragioni per fare soste frequenti e guardare, anzi contemplare, gli scorci vertiginosi che ad ogni rampa vi allagheranno gli occhi. Percorrere l’Escala del Cabirol è una delle esperienze più vicine al volare concesse a creature prive di ali e con ossa pesanti quali siamo noi esseri umani, “razza di chi rimane a terra” per citare Montale.
In ogni caso, se intorno al 328esimo gradino dovesse sorgervi la domanda, che immaginiamo sia anche la più frequente tra gli angeli: “Cosa ci sto a fare quassù?”, ricordatevi che al termine della scala ci sarà per voi una ricompensa, un tesoro, quello per cui vi siete messi in marcia, cioè la Grotta di Nettuno. E poi, intendiamoci: avreste anche potuto prendere un traghetto con partenza dal porto di Alghero o dall'imbarco del molo della Dragunara a Porto Conte. Il traghetto in questione, se il mare fosse stato calmo, vi avrebbe sbarcati proprio davanti all’ingresso della grotta senza bisogno di fare un solo passo. Ma se il mare è mosso o se semplicemente vi piace camminare nel quadro di una natura sublime, allora la Escala del Cabirol è l’unica possibilità che avete per entrare nelle Grotte di Nettuno.
Scoperte per caso da un pescatore nel XVIII secolo, le Grotte sono formazioni carsiche, sono, per dirla in termini più immaginifici, il sottosuolo creativo della nostra Alghero, un profondo ventre sotterraneo lungo circa 4 chilometri, dove la natura ha improvvisato nel corso di millenni creazioni sorprendenti, in cui è possibile rintracciare forme come si fa con le nuvole, tranne che nel nostro caso il calcare delle stalagmiti e delle stalattiti si è rappreso definendo per sempre una somiglianza con le cose familiari della superficie.
Così, nella parte iniziale della grotta il vostro sguardo sprofonderà prima nelle acque diafane del Lago Lamarmora, per poi riemergere e aggrapparsi alla colonna stalagmitica alta un paio di metri al centro del lago stesso, detta l'Acquasantiera perché caratterizzata da formazioni concave come vaschette in cui si raccoglie acqua dolce. Dopo una breve discesa, arriverete alle grandi stalattiti della Sala delle Rovine (così chiamata perché, in verità, gli screanzati visitatori dell’Ottocento qui combinarono qualche guaio).
La sala centrale, detta Sala della Reggia, vi toglierà il fiato con le sue colonne centrali alte 9 metri. Ma è solo l’inizio di una vertiginosa impennata, perché subito dopo la volta arriva a 56 metri di altezza, da cui si riversa impietrita la colonna stalagmitica chiamata l'Albero di Natale. E qui il Lago Lamarmora termina con una spiaggetta sabbiosa detta Spiaggia dei Ciottolini in quanto un tempo formata da sassolini oggi però scomparsi: direste che si tratta del tipico posto in cui un dio pianterebbe il suo ombrellone.
Dalla Reggia salirete alla Sala Smith, in pratica una sala da concerto per musica geologica grazie al Grande Organo, una ciclopica colonna larga 50 metri e alta 49, la più grande della grotta. Lungo la parete opposta, troverete invece la sala più chic di tutte, quelle delle Trine e dei Merletti. Infine, arriverete alla cosiddetta Tribuna della Musica, una balconata da cui vi affaccerete sulla Reggia e sul Lago Lamarmora. Sarà a questo punto che potrete dirvi con soddisfazione, ma anche con un certo timor sacro, di esservi addentrati per circa 580 metri in una sorta di ancestrale sogno calcareo