
La Sardegna è terra. Il mare la circonda, la pervade, la trasforma, la modella, un mare sublime, peraltro, che depone a favore d’ogni metafisica. Ma la Sardegna è terra, anzitutto è terra. Se proverete davvero a sentirla, se proverete davvero a toccarne l’essenza, in primo luogo avvertirete la terra. E qui con terra non intendiamo una materia, ma al limite la sostanza, e comunque certamente il carattere. Così, quando diciamo che la Sardegna è terra, vogliamo dire che la Sardegna è materna, femminea, solida, concreta, fertile, creativa, e che tutto ciò plasma anche le virtù di chi ci nasce (o ri-nasce), infondendo nelle persone pazienza, costanza, forza, compostezza, dignità, inventiva.
Se è davvero questa la terra di cui è fatta la Sardegna, se è davvero questa la pasta di cui son fatte le sue genti, allora c’è qualcosa che si può bere e in cui la sostanza che nutre l’intera isola si è concentrata e sublimata finendo per acquisire un colore, un gusto, un aroma e un profumo precisi. Questo qualcosa è il vino. Ed essendo noi d’Alghero, non possiamo che chiamare in causa il vino degli algheresi “Poderi Parpinello”: 18 ettari di vigneto piantato in marne calcaree, conglomerati e arenarie, da cui le viti assorbono beatamente nutrienti, sapori e misteri, poi con sapienza trasfusi nei vini da Giampaolo e da suo figlio Paolo Parpinello.
Anche i vitigni coltivati dai Parpinello sono quanto di più sardo esista in fatto di enologia: il Cannonau, vitigno strettamente autoctono a bacca nera da cui nasce il “San Costantino”; il “Cagnulari”, vitigno d’origine probabilmente spagnola, riconducibile al dominio aragonese del Seicento; il “Monica”, la cui presenza in Sardegna si deve ad alcuni monaci spagnoli che intorno al Mille lo piantarono tra Sassari e Alghero; e poi naturalmente il Vermentino, il vitigno sardo a bacca bianca in assoluto più celebre, da cui i Parpinello ricavano il “Sessantaquattro” e l’“Ala Blanca”.
Cosa ci piace, in conclusione, dei “Poderi Parpinello”? Il rigore filologico con cui Giampaolo e Paolo interpretano l’enologia, la cura appassionata che riversano sulle loro uve, la modernità curiosa e intelligente delle loro tecniche di cantina, la personalità inconfondibile dei loro vini, per altri versi, invece, così radicalmente tipici. Ma soprattutto, ci piace che nei loro prodotti sappiano imprimere una sorta d’impronta autobiografica, nonché tutti quegli attimi lirici che, eccependo alla linearità univoca del tempo che passa, costringono il pensiero a soffermarsi e riflettere, per poi stupirsi d’esserci, d’esserci sempre stato.
Come la storia che c’è dietro il nome di “Ala Blanca”.
Ecco le ali bianche! gridavano i bambini all’apparire dei gabbiani in volo sui vigneti