
Un tempo non esistevano i frigoriferi: è una delle cose che più spesso si dicono per ricordare quanti passi in avanti abbia fatto l’umanità (o meglio, una parte di essa) nel corso degli ultimi cento anni. L’agliata, di cui oggi vogliamo parlare, è una delle più saporite testimonianze di quando la vita d’ogni giorno era decisamente meno comoda e la conservazione degli alimenti era una vera corsa contro il tempo. Allora, il cibo era contingente, passibile e finito come l’essere umano che pure doveva nutrire e tenere in vita. In altri termini, ciò che era mangiato era da ogni punto di vista assai più simile a colui che lo mangiava di quanto non sia ai nostri giorni. Bisogna infatti considerare che l’agliata è una salsa tradizionale sarda che, oltre ad aggiungere un eccezionale sapore alle pietanze, serviva a conservarle inalterate per qualche giorno, grazie appunto all’aglio e alla sua spiccata azione antibatterica e antiossidante. Non che la questione si ponesse in questi termini così scientifici, semplicemente si osservava che i cibi, soprattutto i pesci, si conservavano più a lungo quand’erano cosparsi di agliata e, poiché erano anche decisamente più buoni, non si aveva alcun bisogno di attendere la pubblicazione di un articolo su rivista per sapere il da farsi. E il da farsi era il seguente: fare un trito di aglio, pomodori secchi, prezzemolo e peperoncino da far soffriggere in olio extravergine d’oliva, con l’aggiunta di pomodori pelati, sale e aceto. La salsa così ottenuta era l’agliata e si versava, come del resto si fa ancora oggi, sul pesce (specialmente razza, gattuccio e polpo) precedentemente fritto o bollito (ma oggi non è più solo una risorsa da pescatori e si trova associata anche al fegato di manzo). Servita tiepida o fredda, l’agliata di pesce sarà uno squisito antipasto in ogni stagione dell’anno, nonché un’occasione per riflettere su quando il pesce deperiva rapidamente e l’aglio era un antidoto forte e gustoso al medesimo destino che coinvolge tutte le cose.