
Una storia molto antica, anzitutto, ma anche l’orgogliosa rivendicazione della propria identità e, dunque, della propria diversità rispetto al resto della Sardegna. Ma cominciamo dalla storia.
Fondata dalla potente famiglia genovese dei Doria tra 1102 e il 1112, fu nel 1354 che Alghero passò sotto il controllo della corona aragonese. A questo punto, la popolazione preesistente venne deportata e al suo posto si insediarono coloni catalani. Così, Alghero divenne una vera e propria enclave all’interno del territorio sardo, tanto che per i suoi abitanti catalani si chiamava “l'Alguer”, per i sardi, invece, “s'Alighera”. Affinché questo isolamento fosse un fatto non solo culturale ma anche materiale, la città venne fortificata con possenti mura che sarebbero poi state abbattute soltanto nel 1881: ogni notte le porte d’accesso venivano chiuse e riaperte il mattino successivo.
Per comunicare, chi viveva in città doveva necessariamente conoscere il catalano. Ma nessun isolamento può essere mai perfetto: così, il catalano originario, separato dalla madrepatria, si cristallizzò in forme arcaiche e medievali e, per evolversi, attinse prima al sardo circostante e, poi, all’italiano. Così è nato l’algharese che è una lingua di base catalana con tratti fonetici e lessicali sardi e italiani.
Riconosciuto e tutelato quale minoranza linguistica, oggi l’algharese è parlato da circa il 20% della popolazione e compreso dal 60%, oltre ad essere materia d’insegnamento obbligatoria a scuola. Il Coro polifonico della città si dedica all’esecuzione e alla trasmissione di canti tipici in algherese e, quando percorrerete il borgo storico, troverete i nomi delle vie scritte in questa lingua. Insomma, se cercherete di comprendere fino in fondo la nostra città, non potrete non imbattervi nelle profonde radici che, attraverso il mare, la radicano in Catalogna. Non a caso, Alghero è gemellata con Tarragona, Palma di Maiorca, Encamp e Balaguer: il nostro costante desiderio di tornare a casa.