
Estate 1967, Hollywood… No, anzi Alghero. Perché nell’estate del 1967 Hollywood si trasferì proprio qui nella nostra città. Non tutta Hollywood, naturalmente. Ma, volendo parlare per sineddoche, cioè volendo indicare la parte per il tutto, vi si trasferirono Liz Taylor e Richard Burton, certamente parti significative di quel tutto chiamato cinema o spettacolo. Ché, in effetti, lo spettacolo è tutto nella vita. Ma se il regista Joseph Losey scelse di girare “La scogliera dei desideri” ad Alghero, fu proprio per non dare spettacolo, cioè per garantire ai chiacchieratissimi attori che avrebbe diretto un ambiente più discreto e lontano da mondanità e gossip rispetto a quello che avrebbero trovato sull’Isola di Capri, dove il grande commediografo americano Tennessee Williams, anche sceneggiatore del film, aveva inizialmente immaginato di ambientarlo.
Dobbiamo essere onesti: il film non riscosse grande successo ai botteghini. Del resto, nemmeno la commedia di Williams da cui è tratto ha mai fatto registrare il tutto esaurito. Il povero Tennessee era orami fuori tempo massimo: la sua carica rivoluzionaria si era spenta o, per meglio dire, era stata normalizzata e interiorizzata da quello stesso blocco sociale borghese che aveva in principio messo a disagio con le sue allarmanti, striscianti, tensioni psicotiche ed erotiche. Altre rivoluzioni stavano per scoppiare e Williams si trovava ormai dalla parte sbagliata della barricata.
Ma a distanza di 48 anni cosa volete che importi più un flop commerciale? Il momento peggiore di quando si perdono dei soldi è il momento stesso in cui si perdono; dopo qualche tempo, non ci si pensa più e resta solo il ricordo dell’avventura che ce li ha fatti rimettere. Ricordo, peraltro, non necessariamente brutto.
Come in questo caso. Perché, in fondo, qui ad Alghero, Liz e Richard ritrovarono l’amore perduto dopo la fine di un loro primo burrascoso matrimonio. Perché il nostro compianto mediomassimo Mario Altana, il "Carnera sardo", guadagnò centomila lire al secondo per fare la controfigura di Barton in una scena in cui il suo personaggio doveva camminare su una ringhiera a strapiombo sul mare. Perché lo stesso Barton, in quel periodo dedito pesantemente all’alcol, offriva da bere a tutti nella bettola di via Columbano nota come “camera a gas”, ed era per questo il miglior compagno di bevute che si possa immaginare. Perché Losey, il regista, esaltato dalla potenza dei flutti durante una tempesta di maestrale, decise d’intitolare il film “Boom!”, come il rumore delle onde che si frangono sulle pareti di Capo Caccia, rifilando in questo modo infiniti problemi di traduzione ai distributori stranieri della pellicola.
Fra l’altro, per girare il film, fu costruita una vera casa sulla spettacolare terrazza di Cala della Barca nel Parco di Porto Conte, una villa da sogno, degna della capricciosa milionaria "Sissy" Goforth/Liz Taylor. Naturalmente, terminate le riprese, la costruzione fu demolita. Eppure, sembra che a cercar bene tra rocce e cespugli si possano ancora trovare frammenti di mattonelle e di intonaci di quella dimora effimera come il successo, la fama, il talento, la giovinezza, l’amore e così via dicendo. Ecco, in fondo, cosa rimane di tutto questo spettacolo che in principio abbiamo chiamato vita: solo polvere di stelle