
Il Carnevale sardo è decisamente virato su toni più scuri, quasi si trattasse di una sorta d’esorcismo collettivo svolto su figure arcaiche, tenebrose e inconsce che, in questo momento dell’anno, tornano a materializzarsi dall’altrove in cui per il resto dell’anno vivono sigillate, ma mai del tutto inattive, come sottili vibrazioni d’inquietudine, come se il vuoto non fosse mai completamente vuoto, come se il silenzio non fosse mai completamente silenzio. Tutto ciò che per solito ci sembra solo d’intravedere sul fondo di qualcosa a Carnevale riemerge e si rivela a pieno sfilando per le strade delle nostre città.
La scorsa settimana abbiamo raccontato la storia di come sant’Antonio Abbate donò il fuoco all’umanità rubandolo ai diavoli dell’inferno. Abbiamo anche detto che, per ricordarlo, la notte tra il 16 e il 17 gennaio si accendono grandi falò un po’ ovunque in Sardegna. Ebbene, sono proprio quei fuochi a sancire l’inizio del tempo di Carnevale sull’isola – fuochi che si intendono venuti direttamente dagli inferi, capaci come tali di liberare nell’aria ogni sorta di spirito grottesco e di entità deviante. Normale dunque che a Orotelli, vicino Nuoro, le figure principali siano i temibili thurpos, che si aggirano incappucciati per il paese con il volto cosparso di cenere di sughero, mentre a Lula, sempre nel nuorese, a vagare per le strade è il battileddu, una specie di scemo del villaggio sporco di sangue, simbolo di una follia che trasgredisce ogni legge, sia umana che divina. A Bosa, il Carnevale assume addirittura la forma di un lamento funebre per i bambolotti che uomini travestiti da vecchie in lutto portano morenti in grembo a causa di madri degeneri che li hanno abbandonati per darsi a ogni tipo di depravazione.
Ma è a Mamoiada che il Carnevale ha generato le maschere sarde più tipiche e riconoscibili: naturalmente, stiamo parlando dei mamuthones e gli issohadores. I primi sono figure sghembe e oscure fin dalla maschera fatta di legno in seguito annerito con grasso, dai tratti esageramene scavati e dalla mimica corrucciata, a volte addolorata, altre volte minacciosa. Ricoperti da pelli di pecora nera, i mamuthones portano sulla schiena un fitto sistema di campanacci che può arrivare a pesare fino a 30 chili. Il loro incedere è lento ma, agitandosi in modo da far suonare i campanacci, il loro passo assume infine un aspetto danzante e ipnotico. Di contro, gli Issohadores spiccano per la maschera completamente bianca e per la vivacità dei colori del costume: corpetto rosso, bottoni in oro, camicia e pantaloni bianchi. La loro caratteristica è la fune, la so'a, da cui prendono chiaramente il nome.
Quando finalmente il Carnevale volge al termine, tutto ciò che era risalito per qualche giorno dal sottosuolo del tempo e del mondo acconsente a farvi ritorno senza troppe poteste. Almeno per un anno, i fuochi che accenderemo saranno puri: saranno soltanto luce e calore, guide per navi in avvicinamento.
(Foto: ViaggiNews.com)