
Provate a prenderla. Dotatevi di ogni cosa: armature, lance, frecce, spade, scale e provate a espugnare Castelsardo. La cosa più probabile è che alla fine deciderete di appendere l’elmo a un chiodo, perché sarà stato tutto inutile, un’esperienza talmente frustrante che sceglierete di fare altro nella vita che assediare città fortificate. E come darvi torto? Anche su due piedi ci vengono in mente almeno un centinaio di altre cose da fare più interessanti e costruttive di questa.
Comunque, non siate troppo severi con voi stessi: Castelsardo è davvero imprendibile (o almeno lo è stata fino all’avvento delle armi moderne). Edificata dai Doria nel XII secolo sopra un promontorio affacciato sul Golfo dell’Asinara, la rocca è passata indenne attraverso i secoli e ancora oggi trovarsi al suo cospetto significa provare la sensazione di trovarsi ai piedi di una sorta di creatura preistorica, un essere corazzato che non ha paura di alcun tipo di zanna o artiglio. Di notte, la corazza si illumina delle luci delle case e delle strade, e allora il promontorio sembra la groppa di un cetaceo esposto romanticamente ai venti che qui non mancano mai.
Castelsardo è di roccia, e dalla roccia nasce e nella roccia torna, come se il confine tra costruzione e natura si spostasse di continuo avanti e indietro, e fosse inafferrabile. Guardate, ad esempio, la cattedrale di Sant'Antonio Abate. Anche questa, come gran parte delle cose di questa città, si trova a strapiombo sul mare; ebbene, dopo aver visto la cattedrale, provate a rispondere a questa domanda: quale differenza sostanziale passa tra il suo campanile e la roccia da cui si erge o in cui sembra conficcato? Questa cattedrale, cioè questa costruzione eminentemente umana, questo prodotto strettamente culturale, in che senso è diverso dalla famosa Roccia dell’Elefante, scolpita dal vento in foggia, appunto, d’elefante? Rispondere vi darà probabilmente qualche imbarazzo.