
Certo, in un albergo ci si ferma in genere solo per qualche giorno, non per un intero anno accademico. Ma non è anzitutto per iscrivervi che ve lo diciamo, è soprattutto per farvi presente che ad Alghero ci sono persone che si danno da fare per coltivare un’identità e per continuare a esprimere attraverso la lingua che di quell’identità è parte costitutiva.
L’algherese non è solo una lingua attraverso cui si può parlare ma anche una lingua di cui si può parlare. In altri termini, non è solo uno strumento, ma è pure un fine: è un bene, è un valore. In questa prospettiva, abbiamo trovato estremamente interessante che l’Associació si proponga con questi suoi corsi di insegnare anche a scrivere in algherese. Limitarsi a parlarlo significa fatalmente circoscriverlo al solo ambito colloquiale, per scambi semplici, immediati, automatici, che, insieme alla sua sempre più scarsa diffusione, rischiano di impoverirlo, di svuotarlo delle sue infinite possibilità espressive. Scrivere in algherese significa, invece, mettere più profondamente alla prova la lingua, sfidarla, per così dire, sul terreno del senso, oltre che su quello del significato. Non si tratta più solo di procurarsi un vocabolario, si tratta anche di chiedersi cosa farne, dopo esserselo procurato.
Il problema è grosso modo questo: sappiamo che esiste una cosa chiamata Alghero. Bene. Ma sappiamo più raccontare questa cosa chiamata Alghero in algherese? Cioè, conosciamo, per farlo, parole che siano parte dello stesso spettacolo che vorremmo descrivere? E se non le conosciamo, ciò non significa forse perdersi parte dello spettacolo?
Oh Algué, a quants pansaments que no sabivam dira as prastat las tuas parauras, pescannas amich des curalls.
(Oh Alghero, a quanti pensieri che non sapevamo dire hai prestato le tue parole, pescandole tra i coralli).