
Se in questo periodo ci ricordiamo più spesso e più intensamente della nostra infanzia e ci sembra quasi di poter toccare il bambino che siamo stati, ciò dipende in larga misura dai profumi che sulle nostre tavole si sprigionano in questo particolare periodo dell’anno. La forza con cui odori e sapori sono immediatamente in grado perfino di ricostituire (per quanto in forme vaghe, passeggere e impalpabili) un mondo orami lontano è uno dei doni più magici del Natale.
E cosa ci unisce di più alla nostra infanzia dei dolci? Che schifo, infatti, le verdure, e poi il pesce ha le spine, e poi la carne bisogna tagliarla, ma i dolci… quelli non ci saziano mai e non vediamo l’ora che arrivino in tavola. In Sardegna, non diversamente che nel resto d’Italia, il loro ingresso è annunciato da una scia di profumi fruttati: quello vivace e intenso della frutta fresca e quello più legnoso e affumicato della frutta secca. Sono in fondo questi i profumi che ci si piantano nel naso e aleggiano più a lungo per casa (e nella memoria). Ma in Sardegna su quali dolci tipici questo sipario al mandarino di colpo si alza?
Signori, tutti in piedi per applaudire un signore candido, semplice e dolce fino a commuoverci: il torrone sardo. Quello che non si può proprio non conoscere (e gustare) è il torrone di Tonara: mandorle, miele sardo e albume d’uovo. Tutto qui. Né aromi né zuccheri aggiunti, dal che deriva il suo colore non perfettamente bianco ma tendente all’avorio, l’avorio del nostro miele, ingrediente fondante la pasticceria di Sardegna. Esistono anche varianti con le noci, le nocciole, i pinoli o le bucce di agrumi: in ogni caso, il torrone sardo rappresenta il mistero semantico di come con poche e semplici cose se ne possano esprimere infinite altre.
Immancabili sulle nostre tavole natalizie sono poi le pabassinas, che possono anche chiamarsi papassini, pabassinos, papassinos. Se avete il dubbio di quale nome usare, limitatevi a indicarli, come bimbi appunto, o direttamente ad afferrarli. Sono biscotti a base di farina, uova, zucchero, strutto e latte, ma ciò che dà loro il nome (e il carattere) è la papassa, o pabassa, vale a dire l’uvetta sultanina di cui sono ripieni. Non è raro che i bambini si incantino a guardarne i colori vivaci della glassatura, che quindi i più golosi tra loro prenderanno a leccare ad occhi chiusi, sognando scene da paradiso terrestre.
Infine, viene il dolce forse più “adulto” fra quelli che vi abbiamo fin qui illustrato: Su Pan’e Saba. Si tratta di un prodotto da forno di antichissima tradizione, dei tempi remoti in cui i dolci non erano tanto dolci quanto quelli attuali, perché le cose atte a dolcificare erano rare e costose. Il pane di sapa era appunto pane al cui impasto veniva aggiunta la sapa, scuro e denso sciroppo ottenuto dal mosto d’uva fatto bollire per circa 8-10 ore a fuoco lento. Ciò rendeva il pane adatto ad essere servito come dolce a fine pasto. Anche del pane di sapa esistono innumerevoli varianti: dove ci si aggiungono le noci, dove le nocciole, dove l’uva passa, dove le scorzette di limone o d’arancia, dove i semi d’anice. Il pane di sapa è un accogliente ricettacolo d’ogni invenzione culinaria che sia in grado di trasportare il Natale nella dolcezza più squisita, là dove gli ingredienti si mescolano a ricordi antichi, quasi ricordi di quando noi non eravamo ancora nemmeno nati (e già avevamo l’acquolina in bocca).