
Così leggiamo dal sito del Giro d’Italia, torniamo a leggerlo con un certo orgoglio e già con un po’ di nostalgia. Le ruote dei ciclisti hanno ormai lasciato le nostre strade, su cui però hanno lasciato qualcosa come una sottile scia rosa, un disegno “costantemente ondulato”, “tutto a seni e a golfi”, avrebbe detto il Manzoni, in cui ognuno può vedere quel che gli pare, come succede con certe rocce sarde modellate dal vento e dal mare.
Cosa ci vediamo noi? Ci vediamo anzitutto l’estate ormai imminente e i tanti viaggi, le tante avventure sulla strada, che in tanti a breve vivrete sulla nostra isola. Percorsi che legano in “un interminabile sequenza di saliscendi” paesi e città, persone e animali, volti e pietre, presente e passato, scenari sterminati di mare aperto e raccolti angoli d’entroterra storditi dal profumo resinoso della loro contorta macchia mediterranea. In quel disegno di biciclette noi ci vediamo, in sostanza, la libertà suggerita dal nostro vento ostinato che attraversa i corpi e piega le anime come fa con le chiome degli alberi, così che spesso si sfiorano le une con le altre e, quando succede, dicono che possa nascere un amore.
Sì, il Giro e la sua carovana rutilante, festante, eccitante, entusiasmante, si sono spostati sul continente. Ma di tutto ciò a noi è rimasto, in fondo, l’essenziale: sono rimaste le strade con tutti i loro preziosi suggerimenti di viaggio, gli scenari magnifici, l’agonismo delle onde che si schiantano a riva e un bel pungo di promesse in cui credere. Dunque, ringraziamo il Giro per essere partito per la centesima volta e di essere partito proprio da qui. Noi, di contro, siamo rimasti (qualcuno doveva pur rimanere, no?). Eppure, come fosse ancora la prima tappa, ci sentiamo così costantemente, dolcemente, ondulati!