
Senza dubbio, nel novero delle possibili rivelazioni c’è anche quella che riguarda il mistero della pietra, la sua oscura capacità di trasmettere una testimonianza umana, di consolidare nel tempo presenze ed esistenze per altri versi già del tutto scomparse. Basterà percorrere da Alghero appena 12 chilometri in direzione di Porto Conte per immergersi in questa particolare sensazione, che vi attraverserà potentemente visitando il complesso nuragico di Palmavera.
Se c’è un edificio che connota il paesaggio sardo, quello è proprio il nuraghe. Ma poiché la sua vera funzione originaria ancora ci sfugge, non possiamo sapere se ciò che abbiamo davanti sia esattamente una fortificazione o un tempio o una torre astronomica (ipotesi, queste, circa il suo possibile impiego in età preistorica). Di conseguenza, tutto quel che vediamo è un poderoso enigma di pietra, una presenza che al tempo stesso si mostra e si nasconde, una costruzione monumentale che ci interroga ma che, proprio interrogandoci, ci parla, ci rivolge un discorso in una lingua ormai perduta e mai più del tutto recuperabile. Il nuraghe è un paradosso di pietre immobili che fuggono. Ma che fuggono dove? Di certo, fuggono all’indietro, ossia retrocedono nell’abisso di un passato preistorico che per noi ormai può esistere solo a titolo indiziario.
Di non indiziario e non frammentario, cioè di pieno e continuo, resta solo la sensazione trasmessa dalle pietre nuragiche, che certamente vi colpirà visitando Palmavera. Si tratta, peraltro, di un “nuraghe complesso”, in cui cioè le due torri principali sono collegate tra di loro da muri che delimitano corti e spazi in cui sorgevano capanne. La complessità di questo nuraghe è forse la caratteristica che più comunica l’impressione di vite realmente esistite e che tra quelle pietre svolgevano attività, ponevano problemi, cercavano soluzioni e, soprattutto, si relazionavano tra di loro (in questo senso, è istruttiva la cosiddetta Capanna delle riunioni). Pensare, inoltre, che l’abbiano fatto dal XV secolo a.C., cui risale il primo nucleo, fino almeno alla fine dell’VIII a.C., quando il villaggio fu distrutto da un incendio, può in effetti dare perfino la vertigine, come ci trovassimo sull’orlo di una cascata da cui invece che acqua precipiti tempo.
Dunque, quando vi aggirerete tra i resti imponenti di Palmavera, fatelo un po’ in silenzio, così da poter ascoltare quello millenario che trasuda e bisbiglia dalle eloquenti pietre nuragiche