
Chi è stato nella nostra città non può dimenticarlo. Si tratta di un odore che mischia al salmastro del mare quello dolce e tanninico del mirto che, in gran quantità, si aggrappa ostinato al terreno roccioso di Capo Caccia, dove il vento gli estorce il profumo.
Nel Medioevo i profumieri da questo arbusto ricavavano la cosiddetta “acqua degli angeli”, come se il paradiso scendesse a gocce sulla terra. Invece, noi algheresi (e, più in generale, noi sardi) dalle sue bacche, dai suoi fiori e dalla sua corteccia otteniamo l’omonimo liquore. Anzitutto, quanto ci dona di sé il mirto lo mettiamo a macerare in alcool al 95% per circa 70 giorni. Poi, all’infuso alcolico aggiungiamo il miele, altra pregiata essenza di Sardegna, finché non raggiungiamo una gradazione alcolica compresa tra il 28% e il 36%. Segue, infine, un invecchiamento di diversi mesi, al termine del quale il liquore ha assunto splendide sfumature rosse come i nostri coralli.
Al palato leggermente tannico e astringente, il mirto, servito freddo dopo i pasti, è un ottimo digestivo ma, soprattutto, un’occasione per meditare su come Alghero sia disseminata di persistenti tracce di Paradiso Terrestre.