
Da quelle terre portarono la Vernaccia, un vino secco che i pescatori algheresi gradirono molto, così che presto il bar si popolò di quella particolare umanità che sta sulla terraferma come barche alla fonda in un porto: pigro dondolio in attesa di prendere nuovamente il largo.
Poi, venne la guerra, venne il dolore, venne la pace, venne la ripresa e, nel 1971, vennero dall’Australia, dove si erano trasferiti per qualche tempo, pure i coniugi Fiori Antonio Gavino e la sua signora Maria, originari della provincia di Sassari. La coppia, allora, rilevò il Bar del Milese, lasciandogli però il nome originario, ché le cose sono fatte della propria storia, sono depositi geologici d’esistenza.
E per un po’ la vita del bar proseguì in modo non molto diverso da prima: pescatori e algheresi vari con il loro quartino di Vernaccia e le interminabili partite a carte, e poi le chiacchiere, le risate, le preoccupazioni d’ogni giorno e, sullo sfondo, le stagioni che passavano imponenti sulle teste degli abituali del Milese, nonché il mare diverso e identico in ogni istante che allagava loro lo sguardo e asciugava la pelle. Ma queste sono in effetti considerazioni d’ordine metafisico, che solo dopo qualche bicchiere di vino diventano realmente urgenti e di una qualche rilevanza.
Comunque, così andava e il Bar del Milese era ancora solo un piccolo porto riparato per barche tornate dal mare aperto. Ci pensò la signora Maria a cambiare le cose. Le cambiò dalla cucina, da cui vengono notoriamente solo rivoluzioni buone. Prese dal suo fornaio di fiducia un grosso pane lungo circa 80 centimetri ma basso di spessore, lo aprì e cominciò a farcirlo: uno strato di fette di pomodoro fresco, uno strato di tonno, pezzi di uova sode, pezzetti di acciughe, uno strato di rucola, uno strato di cipolle tagliate sottili e, infine, uno strato di pancetta.
Ora, queste sono tutte cose buone, anzi ottime, prodotti genuini della nostra terra: strati e strati di Alghero, per così dire. Però, metterli insieme è cosa che saprebbe fare chiunque. Quel che nessuno saprebbe fare (e che finora, di fatto, è riuscito a fare) è la salsa segreta della signora Maria. È proprio questa salsa che compie il miracolo di rifondere gli ingredienti che abbiamo detto in qualcosa che è decisamente più grande della somma algebrica dei singoli fattori che lo costituiscono: la Focaccia del Milese. D’altronde, non è ciò che propriamente succede quando si realizza un capolavoro?
Fatto sta che la Focaccia cambiò per sempre il Bar del Milese che, a quel punto, prese ad attrarre tutti, dagli algheresi alla gente di passaggio, dagli abituali ai turisti. Tutti in fila per prendere un trancio della Focaccia, tutti ben rassegnati a non poterne più fare a meno. Oggi il Bar del Milese si chiama Bar Focacceria Milese ed è una vera istituzione, un indispensabile punto di riferimento, gestito con passione da Sonya, figlia della rivoluzionaria signora Maria, e dal marito di lei Giuseppe, che hanno notevolmente arricchito l’offerta di focacce, pur restando nel solco della propria squisita tradizione.
Ma appunto, cosa resta del passato? Resta l’idea che il Milese sia ancora un bel porto in cui rifugiarci, quando, usciti dal mare o in procinto di andarci, vogliamo trovare una qualche certezza, una misura di stabilità, un sapore che sappia immancabilmente restituirci un attimo di gioia e di piena soddisfazione dei sensi, come per rassicurarci del fatto che, accada quel che accada, possiamo sempre tornare a essere felici.