
La sabbia nelle clessidre è tempo che passa, la sabbia sulle spiagge di Alghero è tempo che resta: è una permanenza bianca e sottile lambita dal divenire di acque cristalline, è la farina con cui si impasta il mare, è limatura d’avorio, è cenere di angeli bruciati d’amore, è l’estrema frammentazione di Dio, è una nevicata che non si scioglie, è il vento che si disegna, è il sole che si specchia, è segatura di tempo divorato dalle tarme degli attimi.
Ce ne rendiamo conto: questo post è solo una sequela di definizioni, ognuna delle quali, peraltro, rischia di non essere esaustiva, di mancare il bersaglio. D’altronde, è sempre meglio vederle di persona le cose e affondarci i piedi dentro, come nelle nostre spiagge: la spiaggia delle Bombarde, quella del Lazzaretto, quella di Mugoni, quella di Maria Pia, quella di Fertilia (o del Punta Negra), quella della Dragunara, quella di Porto Ferro, quella di Porticciolo, quella di Punta Giglio, quella di Tramariglio, quella Porto Pollina (La Speranza), quella di Porto Conte, quella di Ivo Masu, quella del Burantì.
Non resta, dunque, che fare come segue: venite voi stessi a vedere e toccare la sabbia di Alghero, perché possiate aggiungere anche la vostra allo sterminato elenco di possibili definizioni che se ne possono dare.