
In effetti, è difficile imbattersi in un evento carnevalesco più misterioso, esoterico, sacrale e vitale di questo.
Di fondo, si tratta di una giostra equestre, di quelle che in certi racconti consentivano al cavaliere vincitore d’avere in sposa l’eterea figlia del re. Solo che in questa giostra si sono nel tempo innestati elementi della più disparata provenienza e del più vario significato. C’è sicuramente l’elemento dell’abilità cavalleresca: evoluzioni con il cavallo, la “stella” da infilzare. Ci sono però anche i riti cristiani della penitenza e della comunione, come ci sono elementi pagani legati alla fertilità dei campi. Sartiglia viene dal castigliano “sortija”: come si capisce, è un tentare la sorte per chi non ha paura di rompersi l’osso del collo cavalcando come un matto, ma è anche un propiziare la fortuna per chi ha un campo coltivato o un’attività da mandare avanti.
Lo spettacolo di centodiciassette cavalieri mascherati, in sella a cavalli riccamente bardati, vi assicuriamo che è una visione inspiegabilmente mistica. E poi, c’è lui: su Cumponidori. Tutto gli ruota intorno, tutti sono lì per lui, per ammirarlo, per ottenerne la benedizione. Creatura semi-divina, né maschio né femmina, uomo reso oltreumano da mani di donna, quelle delle sas Massajeddas, durante la lenta vestizione rituale che culmina con il posizionamento della maschera, cucita sul viso, e del cappello a cilindro. Fino alla fine della corsa su Cumponidori non toccherà più terra con i piedi: sempre sul suo destriero. Lo vedrete incedere ieratico e superbo intento a scacciare spiriti maligni, a sfidare altri cavalieri, a benedire con sa pippia de maiu: uno scettro costituito da un doppio mazzo di mammole.
Sarà su Cumponidori a decidere quando la pariglia si potrà ritenere conclusa. Allora, tornerà dalle sas Massajeddas che lo svestiranno, privandolo pezzo dopo pezzo della propria dignità divina. L’abito fa il dio. Che sia anche questa una lezione della Sartiglia?