
Pasquetta è anche un po’ questo, tanto più lo è quest’anno, dal momento che pare essersi finalmente aperta una finestra sul sole e il calore primaverili, ciò che permette a tutte le cose di uscire dalla tana in cui hanno svernato, raggomitolate su se stesse. A cominciare dai colori della nostra terra e del nostro mare, che tornano a mostrarsi e, mostrandosi, ci aprono lo sguardo, anche lui rintanatosi per lungo tempo, abbassatosi contro il vento, defilatosi sotto una pioggia di pensieri.
Anche il nostro albergo oggi sembra squarciare il velo vagamente opaco e selvaggio con cui l’inverno aveva ricoperto il mondo. Dalle fondamenta al tetto è percorso dal brivido di gioia che sempre ci prende al solo pensiero di quante vite, di quante storie, di quanti transiti esistenziali si incrocino e confondano per questi corridoi, per queste camere, tra queste mura. E quanti sguardi hanno spaziato e ancora spazieranno attraverso l’orizzonte del nostro altissimo Blau Skybar! Probabilmente, se avessimo occhi più profondi, occhi sovrumani, potremmo ancora scorgere le impronte lasciate in cielo, in terra e in mare da tutti questi sguardi ammirati, qualcosa come una vaga alterazione della prospettiva, un lieve avvallamento dell’aria, un certo restringimento nel flusso di una qualche corrente sottomarina.
Una cosa è certa: ognuno, per quanto poco si fermi, per quanto poco si noti, per quanto poco dica, per quanto poco faccia, per quanto poco perfino voglia, lascia di sé, e dopo di sé, una qualche minuscola particella vitale durante il proprio soggiorno. Noi albergatori, noi esseri umani, naturalmente non ce ne accorgiamo: sono minuzie, queste, che competono soltanto agli dei. Ma d’altronde, di quale altra materia pensate siano fatti gli alberghi, queste costruzioni in perpetuo divenire, queste identità edificate giorno dopo giorno, valigia su valigia, vita su vita, prenotazione su prenotazione?