
Tanto forte è questa esigenza che per rispondere dà fondo a tutto ciò che sa, combinando tra di loro tradizioni e storie a volte molto diverse tra di loro. Questo è uno dei modi di cui disponiamo per renderci il mondo più famigliare e abitabile. Un esempio in tal senso perfetto è rappresentato dalla leggenda sarda di Sant'Antoni ‘e su fogu, in cui si racconta di come sant’Antonio Abate portò il fuoco agli uomini che fino ad allora ne erano stati sprovvisti.
C’è qualcosa che subito non ci quadra: è mai possibile che questa leggenda ritardi addirittura all’evo cristiano la scoperta del fuoco? In effetti, è un po’ strano. Ma forse il racconto non intende tanto parlare della scoperta, quanto piuttosto della trasformazione del fuoco: da elemento distruttore e diabolico ad alleato dell’uomo e benedizione di Dio. Così, ecco che sant’Antonio Abate, impietosito dalla condizione miserevole degli uomini durante i freddi inverni, si decide a scendere nell’inferno, insieme al suo inseparabile maiale, per prendere da lì il fuoco e donarlo agli uomini. Quando i diavoli gli sbarrano la strada, il maiale riesce a infilarsi lo stesso negli inferi e, approfittando del trambusto che ne segue, il Santo carpisce il fuoco con il suo bastone di ferula, pianta che a contatto con il fuoco si annerisce ma non brucia. Risalito in superficie, sant’Antonio soffia nel bastone e milioni di scintille si diffondo per tutto il mondo, dando così a ogni popolo la possibilità di accendere un fuoco con cui scaldarsi.
Il fuoco dell’inferno che tormenta e arde i peccatori viene depurato della sua connotazione penale e diabolica dalla mediazione del santo, che lo converte in un aiuto e in una risorsa. Al tempo stesso, però, la leggenda vuole anche ricordarci da dove in effetti proviene il fuoco per avvisarci della sua pericolosità e per ammonirci circa quanto aspetta i peccatori nell’aldilà. Più in generale, ci leggiamo l’insegnamento morale che la bontà o la cattiveria delle cose dipende dall’uso saggio e accorto che ne facciamo.
Ma è anche notevole che qui sant’Antonio Abate faccia le veci di Prometeo: la cultura popolare, ormai interamente cristianizzata, non ricorda più bene il mito greco oppure ha smesso di capirlo ed è costretta a riformularlo ricorrendo a personaggi e categorie cristiane. Eppure, qualcosa di pagano è pur sempre rimasto nella storia e, ancor di più, nella ritualità ad essa collegata. Appena qualche giorno fa, nella notte tra il 16 e il 17 gennaio, la Sardegna da nord a sud ha visto accendersi grandi falò davanti alle chiese locali dedicate a Sant’Antonio Abate (e non solo davanti a quelle). Sono i roghi che celebrano il dono del fuoco da parte del Santo, ma sono anche riti propiziatori e divinatori. Nelle volute del fumo c’è infatti chi è in grado d’indovinare il futuro, così come le ceneri del sacro rogo servono a curare malattie e a propiziare la fertilità dei campi. Così comprendiamo che sant’Antonio Abate non ha attinto il fuoco dall’inferno, ma da molto più lontano, da molto più in basso: lo ha attinto direttamente dalla notte dei tempi, come fosse uno di quei sogni vividi che pure, al risveglio, non ricordiamo più.
(foto: Sardegna in rete)