
I corpi non dovranno che ricongiungersi con la propria anima che, com’è noto, non ha bisogno di prenotazioni né di mezzi per essere proprio dove desidera essere, istantaneamente.
Prima donna italiana a vincere il Nobel per la Letteratura nel 1962, Deledda fu premiata dall’Accademia di Svezia “per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita qual è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”. Ora, simili motivazioni in genere non dicono nulla, proprio per il fatto di voler dire tutto in poche righe esaustive. Certo, però, in questa colpisce specialmente quell’“appartata isola natale”. Nel 1962 la Sardegna doveva in effetti apparire ben più lontana di quanto non sia oggi. Grazia Deledda restituì ai lettori di tutto il mondo proprio questa lontananza, sciogliendola tuttavia nel calore partecipativo del suo sguardo di scrittrice. La Sardegna deleddiana è remota in quanto è universale: in questa terra difficile, severa, ancestrale, Grazia poté trovare il terreno stesso dell’umano e il suo specchio più autentico.
“Albeggia. Sul cielo azzurro cinereo d’una dolcezza triste e profonda, curvati sull’immenso paesaggio silenzioso, passano sfiorando larghi meandri di rosa pallidissimo, via via sfumanti nell’orizzonte ancora oscuro. Grandi vallate basse, ondeggianti, uniformi, s’inseguono sin dove arriva lo sguardo, chiazzate d’ombra, selvagge e deserte. Non un casolare, un albero, una greggia, una via”. Su questo paesaggio assoluto si muovono come assorbiti dalla sua sublimità sovrumana i personaggi di Deledda, poveri cristi alle prese con le basse e incombenti faccende umane, troppo umane. La loro ostinazione nel vivere a dispetto dell’assoluto che li avvolge e li trascende è il loro aspetto davvero eroico, come Efix che, contemplando il poderetto che lavora duramente da trent’anni, pensa alle siepi di fichi d’India che lo delimitano come fossero “i confini del mondo”.
La bellezza non solo ci illumina, ma anche ci sfida, ci provoca, ci manifesta la nostra estraneità e tutto il coraggio che serve per farvene parte a qualche titolo. Come dimenticare Grazia Deledda?