
Una vivida e immaginifica rappresentazione della morte e resurrezione di Gesù svolta in più processioni, che coinvolge per l’intera Settimana Santa (quest’anno dal 23 marzo al 1° aprile) tutta la città, scenario trasfigurato, virato al rosso dai lampioni velati, di un evento misterioso in cui il divino si abbassa alla dolorosa condizione umana segnata dal dolore e dalla morte, e con ciò, però, l’umano è assunto e innalzato al divino stesso, con cui finalmente si riconcilia e compenetra. Si tratta di una vicenda talmente intensa ed emotivamente coinvolgente, che il sentimento religioso popolare non ha potuto fare a meno di ricomprenderla a suo modo, aggiungendovi elementi drammatici, rappresentazioni devozionali di vissuti che trovano nel racconto pasquale un luogo narrativo esemplare.
Non basterebbero decine di post per spiegare nel dettaglio ciò che anzitutto vi invitiamo a vivere sulla vostra pelle, raggiungendoci qui ad Alghero e partecipando a questa sorta di rito collettivo e ininterrotto. Prendiamo, ad esempio, la processione che si svolge il Giovedì Santo, la cosiddetta cerimonia de las cerques. La processione muove dalla chiesa della Misericordia (sede, peraltro, della Confraternita dei Germans Blancs, che si occupa dell’intera organizzazione della Settimana). Una piccola statua di Nostra Signora dei Sette Dolori viene trasportata di chiesa in chiesa, in disperata ricerca del figlio. Ma il figlio non si trova e la madre, infine, è mestamente ricondotta al punto di partenza. Non si tratta, naturalmente, di un episodio evangelico: è piuttosto l’immaginario popolare che ha colmato questa lacuna narrativa, immedesimandosi umanamente nella preoccupazione ansiosa di una madre, che sente approssimarsi una catastrofe ma avverte anche nel profondo di non aver modo di impedirla. Eppure ci prova, e cerca, vaga, guarda, chiede, vorrebbe trattenere il figlio, vorrebbe stringerselo al petto come faceva quand’era solo un bambino e sottrarlo così al mondo, alla sua insensata crudeltà. O forse vorrebbe soltanto salutarlo, carezzargli il viso un’ultima volta, prima che venga rigato dal sangue.
Questo è il pathos della Settimana Santa di Alghero: un messaggio universale che raggiunge l’umano, l’umano di chi crede come di chi non crede. Un messaggio d’amore, un amore che cerca l’amato, come da sempre e sempre accade, per salvarlo da tutto il resto, come nella sublime poesia del Cantico di Cantici (3, 1-5):
Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato
l’amore dell’anima mia;
l’ho cercato, ma non l’ho trovato.
Mi alzerò e farò il giro della città
per le strade e per le piazze;
voglio cercare l’amore dell’anima mia.
L’ho cercato, ma non l’ho trovato.
Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città:
«Avete visto l’amore dell’anima mia?».
Da poco le avevo oltrepassate,
quando trovai l’amore dell’anima mia.
Lo strinsi forte e non lo lascerò,
finché non l’abbia condotto nella casa di mia madre,
nella stanza di colei che mi ha concepito.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
per le gazzelle o per le cerve dei campi:
non destate, non scuotete dal sonno l’amore,
finché non lo desideri.
(Foto: mondosardegna.it)