
Ovunque, infatti, si svolga una grande manifestazione popolare, che sia il Concertone del Primo Maggio o i festeggiamenti per uno scudetto, ad un certo punto vedrete spuntare la bandiera dei quattro mori, agitata forsennatamente da qualche nostro conterraneo. In effetti, per noi sardi questo vessillo rappresenta il simbolo di un legame profondo e orgoglioso con la nostra terra, per quanto vissuto con diversi gradi d’intensità.
È dunque tanto più singolare che della bandiera dei quattro mori non si conoscano con precisione né le origini storiche né l’esatto significato simbolico, come a dire che i nostri maggiori investimenti emotivi sono nell’ignoto e nell’oscuro. Quando il 19 giugno del 1950 si decretò che quella dei quattro mori divenisse la bandiera ufficiale della nostra regione, il professor Antonio Era intervenne in consiglio criticando la scelta: “Badate che l’emblema dei Quattro Mori non rappresenta, come si dice, i quattro Giudicati in cui la Sardegna era divisa otto-novecento anni fa, quand’era libera e indipendente: si tratta di un errore di interpretazione storica, e dunque non è né ovvio né obbligatorio scegliere proprio questo stemma”. In breve, non si tratterebbe dello stemma “sardissimo” che in genere si ritiene che sia.
E quale sarebbe allora il vero stemma sardissimo? Per esempio, una variante storicamente attestata che ai quattro enigmatici mori sostituisce un pastore, un contadino, un pescatore e un minatore: in pratica, la struttura sociale ed economica originaria della Sardegna. Ma non sarebbe forse un simbolo troppo didascalico? Tanto didascalico da non essere più nemmeno un simbolo, ma pura e semplice rappresentazione?
E allora, muoviamoci su un terreno più radicale, anzi più s-radicale: rivolgiamoci al “desdichado”, vale a dire all’albero sradicato, originariamente simbolo del Giudicato d’Arborea (l’odierno oristanese). Ecco, secondo alcuni, oltre alla vetustà dell’immagine, il desdichado esprimerebbe anche un profondo significato simbolico, grosso modo questo: i sardi sono come un albero senza radici, cioè si sono fatti da soli, la loro è una storia d’orgogliosa indipendenza storica e ideale. Ma è proprio così? Ossia, è corretto sostenere che qualcuno possa farsi senza il contributo degli altri? Non siamo forse sempre e comunque in-relazione? E poi, rifiutare o minimizzare l’apporto altrui non potrebbe legittimare l’altro a rifiutare o minimizzare a propria volta il nostro?
Resta dunque ancora da trovare un vessillo sardissimo, sempre che il Word con cui ora stiamo scrivendo non abbia in fondo ragione a segnalarci “sardissimo” come un errore: un errore di prospettiva.