
Quel che anzitutto ci piace di questi due isolotti posti sul lato occidentale del promontorio di Capo Caccia è che sono radicalmente isole. La Sardegna non è radicalmente isola: le persone e le loro storie la legano al continente, tessono una rete fittissima di relazioni e di ponti emotivi percorribili in pochi istanti con la mente. Il Tirreno, piuttosto che separarla, la unisce all’Italia: è anzitutto il mezzo di un contatto, è continuità, è pieno: il Tirreno è Terreno. Questo mare si trasforma nello spazio negativo di una distanza solo quando lo si attraversa, cioè quando già fisicamente stiamo andando in Sardegna e non vediamo l’ora di arrivare. L’Isola Piana e l’Isola Foradada, invece… quelle sì che sono veramente isole! Sono piccole, sono a pochi metri dalla costa, eppure si percepisco come irraggiungibili. Perché? Per il semplice motivo che non possiamo metterci piede: le loro pareti a picco sul mare lo impediscono. E poi perché dovremmo scenderci? Sono soltanto enormi blocchi di pietra esposti al Maestrale, spazzati dalle burrasche, riarsi dal sole. Sono posti buoni per gli uccelli marini che vi nidificano, sono mete per cose che hanno le ali, non per noi esseri umani. Sono isole perché l’umanità non le bagna da alcun lato. In particolare, l’Isola Foradada (che in sardo significa “forata”) è talmente isola che non potreste viverci sopra, ma potete comunque entrarci dentro: quel che consente è solo una vita sotterranea. Il mare, infatti, in milioni d’anni vi ha scavato una grotta, la Grotta dei Palombi, che l’attraversa da parte a parte. È possibile entrarci in barca dal lato occidentale, ma non è possibile uscire dal lato opposto per via di un costone di roccia: insomma, contrariamente a quel che sembra, è un vicolo cieco. Barracuda e dentici sciamano tra le sue enormi rocce e il mare affresca le pareti delle grotta con l’essenza più pura del blu e del verde. Uscendone in retromarcia, avrete la buffa impressione di aver visto un posto, senza esserci stati.